Journal Club #002

Death and readmissions after hospital discharge during the December holiday period: cohort study

Questo studio pubblicato sull’ultimo numero di BMJ ha indagato quello che è un sospetto diffuso tra i professionisti ospedalieri, cioè l’ipotesi che durante i periodi festivi vi sia una quota maggiore di dimissioni premature che portano a una destabilizzazione del paziente nei giorni successivi, un fenomeno già dimostrato relativamente alle dimissioni nei venerdì sera.

Gli autori hanno condotto uno studio retrospettivo di popolazione, analizzando le dimissioni avvenute nelle due settimane di festività natalizie negli anni dal 2002 al 2016 (classificate come casi) e confrontandole con quelle avvenute in fine novembre e fine gennaio degli stessi anni (controlli). L’indagine ha interessato tutte le strutture di ricovero dell’intero stato dell’Ontario, Canada: sono stati inclusi i dati di più di 670mila pazienti (217mila casi e 454mila controlli), utilizzando metodi di standardizzazione per tener conto delle differenze di gravità tra i ricoveri.

Dall’analisi è emersa una piccola ma significativa differenza sulle quote di accessi in Pronto Soccorso, riammissioni in reparto e morti nei 30 giorni successivi alla dimissione, in particolare nei primi 7 giorni, tra pazienti dimessi nel periodo natalizio e quelli dimessi nel resto dell’inverno. Il rischio sembra superiore nei pazienti con caratteristiche cliniche migliori all’uscita, verosimilmente perché sono quelli che in condizioni di ristrettezza di posti letto vengono inviati a casa più rapidamente. Inoltre nel periodo natalizio diminuiscono le visite di controllo post ricovero. Le cause di questo eccesso di morti e riammissioni non sono state indagate: gli autori ipotizzano come possibili fattori la bassa disponibilità di visite di follow-up, conseguente a una ridotta attività degli ambulatori in periodo festivo, e alcuni elementi di stress connessi alle festività stesse (ad esempio eccessi alimentari).

Lo studio si aggiunge ad altre simili indagini che hanno rilevato un calo di qualità e quantità delle prestazioni sanitarie nei periodi al di fuori degli orari lavorativi, indicando forse una necessità di ripensamento dell’organizzazione dei turni nel servizio sanitario, sia in ospedale che sul territorio. Dopotutto, le malattie non vanno in vacanza.


Lapointe-Shaw Lauren, Austin Peter C, Ivers Noah M, Luo Jin, Redelmeier Donald A, Bell Chaim M et al; «Death and readmissions after hospital discharge during the December holiday period: cohort study», BMJ 2018; 363 :k4481, https://doi.org/10.1136/bmj.k4481 (open access).

Ippocratismi Digitali #002

Vi proponiamo una striscia a fumetti tratta da Annals of Internal Medicine che affronta in modo ironico una differenza di vedute tra medico e paziente su come risolvere il malessere indefinito di quest’ultimo: mentre il medico offre un messaggio semplice e diretto di promozione della salute e psicologia positiva, il secondo ha in mente una soluzione… più facile.

The Cure Is at Hand (Ann Intern Med. 2018;168(7):W18-W20)

Prossimi eventi: novembre-dicembre 2018

Eventi in arrivo

NB: Il workshop “La Circular Economy, la Sostenibilità e la Salute Globale” (ISS), previsto per il 13 dicembre, è stato rinviato.

Attualità #002

  • Il Governo ha pubblicato la Nota di Aggiornamento al DEF dove è previsto un aumento di 1 miliardo al Fondo Sanitario Nazionale 2019 (che raggiunge la cifra di 114 miliardi e 396 milioni), portando quindi il rapporto sul PIL a 6.5% (+0.1%). Nel testo della nota si legge come dichiarazione di intenti:

…le principali azioni da intraprendere in tema sanitario riguardano i seguenti ambiti: i) il personale; ii) il miglioramento della governance della spesa sanitaria; iii) la promozione dell’innovazione e della ricerca; iv) l’attuazione, il monitoraggio e l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea); v) investimenti nel patrimonio edilizio sanitario e l’ammodernamento tecnologico delle attrezzature

Seguono i commenti di: Carlo Palermo (ANAAO Assomed), Nino Cartabellotta (GIMBE), Stefano Bonaccini (conferenza Stato-Regioni), Ivan CavicchiAntonio Panti.

La critica principale che viene mossa è per l’insufficiente aumento del finanziamento a fronte dei bisogni e degli obiettivi auspicati nella stessa Nota, che rischiano di risultare senza coperture. A questo riguardo il ministro Grillo ha dichiarato di voler reperire ulteriori risorse con il taglio degli sprechi farmaceutici.

 

 

  • Il numero di settembre di Public Health Panorama, trimestrale della sezione europea della OMS, è dedicato alle malattie croniche non trasmissibili e alle politiche di prevenzione adottate dai paesi dell’area. Tra questi, il Portogallo si è focalizzato su una strategia di promozione di una dieta salutare (EIPAS) perseguendo un approccio integrato che ha coinvolto diversi settori (sanità, educazione, industria agroalimentare, finanza) e i corrispettivi ministeri. Le numerose iniziative del piano hanno mirato da un lato a migliorare il profilo nutrizionale dei cibi e a scoraggiare la vendita di alimenti nocivi, dall’altro a diffondere e rendere accessibili informazioni di qualità, con particolare riguardo alla rieducazione nutrizionale dei ceti più deprivati: il miglioramento della cultura alimentare della popolazione è infatti indispensabile per indurre una vera promozione della salute che non passi solo attraverso divieti, tassazione e marketing.

 

  • Il Nobel per la pace è stato assegnato a due attivisti contro lo stupro delle donne in zone di guerra. Nadia Murad è una vittima dell’ISIS in Iraq, i cui membri dopo aver assaltato il suo villaggio la hanno imprigionata e violentata per mesi. Riuscita a liberarsi, è diventata una portavoce delle donne costrette a subire abusi nei teatri di guerra. Denis Mukwege è invece un ginecologo congolese che, dopo anni trascorsi a curare donne vittime di violenza di massa, si è esposto per denunciare questi crimini rimasti impuniti con la complicità del governo.

 

Prossimi eventi: ottobre 2018

Eventi in arrivo

Ippocratismi Digitali #001


Di recente il New England Journal of Medicine ha pubblicato questa lettera in cui uno studente di medicina di Harvard racconta la sua esperienza personale con la depressione maggiore durante il corso di studi:

«In retrospettiva, si è trattato non tanto di una mancata diagnosi quanto di rinnegare il libro di testo: pensavo che ciò che stavo provando fosse normale per uno studente di medicina — o no?»

L’autore confessa di aver nascosto a lungo la sua condizione, prima a sé stesso e poi agli altri, per timore dello stigma sociale che ne deriva. Dalla propria storia individuale, l’autore trae delle considerazioni più generali relativamente alla professione medica.

«Non sono il solo a tacere. Ogni anno, più del 25% degli studenti di medicina sperimenta la depressione. […] Nel settore medico, il silenzio e lo stigma sono spesso mantenuti per timore delle ripercussioni che si avrebbero sulla carriera ad ammettere la propria malattia.»

Lo riteniamo un contributo interessante che apre uno squarcio su una realtà poco indagata e offre spunti di riflessione, sia per il settore universitario e sanitario, sia per l’opinione pubblica in generale.


Rose, Michael; «SIGECAPS, SSRIs, and Silence — Life as a Depressed Med Student»; N Engl J Med 2018; 378:1081-1083; DOI: 10.1056/NEJMp1716893 (gratuito)

Journal Club #001


Questa settimana vi proponiamo uno studio pubblicato il mese scorso su European Journal of Public Health: Austerity, measles and mandatory vaccination: cross-regional analysis of vaccination in Italy 2000–14.
Gli autori, appartenenti all’università Bocconi e alla London School of Hygiene and Tropical Medicine, analizzano il problema del calo di coperture vaccinali per il morbillo in Italia (che ha portato alla legge sull’estensione dell’obbligo nel 2017), ipotizzando che esso non sia da attribuire esclusivamente alla diffusione di teorie antiscientifiche e di movimenti no-vax.

Prima di tutto gli autori obiettano che l’esitanza vaccinale si concentra al nord e nelle classi benestanti mentre le recenti epidemie di morbillo sono partite dal meridione e da comunità disagiate (rom, migranti); in secondo luogo essi osservano che il declino nelle coperture ha seguito temporalmente la flessione nella spesa sanitaria pubblica legata alle politiche di austerity. Come è noto, i tagli hanno presentato notevoli differenze tra una regione e l’altra e anche tra un’azienda e l’altra: contemporaneamente, si è visto che anche il declino nella copertura vaccinale non è stato omogeneo sul territorio nazionale.
Viene quindi cercata una correlazione a livello regionale tra le variazioni di spesa sanitaria pubblica pro capite (corretta per l’inflazione) e le variazioni nella copertura per morbillo a 24 mesi di età.
Dall’analisi risulta che a ogni punto percentuale in più o in meno nella spesa sanitaria pro capite si associa una differenza di 0.5% nella copertura vaccinale dei bambini. Questo rapporto è particolarmente evidente in Piemonte e a Roma, dove il calo è stato del 2.5% a fronte di una riduzione del 5% nella spesa.

Il maggior limite dello studio è che, per mancanza di dati disponibili sulla spesa regionale, l’analisi copre soltanto il periodo 2000-2014. Inoltre il dato si riferisce solo alla spesa sanitaria generale in quanto non si dispone delle cifre investite specificamente nei programmi vaccinali, tantomeno nella singola vaccinazione MMR, pertanto sono possibili vari elementi di confondimento.
Tuttavia l’analisi è statisticamente solida ed evidenzia con forza l’importanza degli investimenti in sanità pubblica, in particolare nella prevenzione, considerando che questi interventi non soltanto migliorano la salute e il benessere della popolazione ma hanno anche un elevato ritorno economico per lo stato.


Veronica Toffolutti, Martin McKee, Alessia Melegaro, Walter Ricciardi, David Stuckler; «Austerity, measles and mandatory vaccination: cross-regional analysis of vaccination in Italy 2000–14», European Journal of Public Health, , cky178, https://doi.org/10.1093/eurpub/cky178 (open access).

Attualità #001

Con questo post inauguriamo la rubrica Attualità del blog. In questo spazio proporremo notizie, editoriali, report e interventi istituzionali sui temi dell’organizzazione dei sistemi sanitari (sostenibilità, qualità, innovazione), con un occhio al panorama internazionale e l’altro al contesto italiano.

Grillo: «Aboliremo il numero chiuso a Medicina»
Il ministro Giulia Grillo
Il ministro Giulia Grillo (foto: salute.gov.it)

Apriamo con un recente annuncio del Ministro della Salute Giulia Grillo (in foto), che il 23 settembre ha dichiarato l’intenzione di abolire il numero chiuso per l’accesso al CdL di Medicina come misura di contrasto al deficit di medici nel SSN (sia ospedalieri che MMG), già in corso da anni e destinato a diventare drammatico entro il prossimo decennio. In realtà, poiché si parla di un corso universitario, l’argomento sarebbe di pertinenza del Ministero per l’Istruzione: il titolare Bussetti ha comunque supportato l’iniziativa della collega, che peraltro figura anche nel contratto del Governo del Cambiamento.

Nel suo post sul blog del Movimento 5 Stelle il ministro descrive più in dettaglio la riforma, che sarebbe ispirata al modello francese: in sintesi, verrebbe rimosso il test d’ingresso ma la selezione degli studenti verrebbe di fatto solo rinviata agli anni successivi, in particolare nel passaggio dal primo al secondo anno, attraverso esami più rigorosi.

Come già altre volte in cui si è affacciata questa proposta, alle parole del ministro sono seguite reazioni negative (Anaao Assomed) o più possibiliste (FNOMCEO); tutti però paiono concordi sul fatto che la priorità dovrebbe essere data all’aumento di borse di specializzazione e corso di MG, a un rinnovamento della formazione pre- e post-laurea, allo sblocco delle assunzioni e alla revisione delle condizioni contrattuali per i medici. Peraltro, alcuni di questi propositi sono già stati fatti propri dalla stessa Grillo.


Bloomberg: SSN italiano al 4° posto nel mondo per efficienza. Cosa significa davvero?


Il 19 settembre l’agenzia statunitense Bloomberg LP ha pubblicato la sua classifica annuale dei sistemi sanitari più efficienti al mondo. L’Italia figura al quarto posto, salendo di 2 posizioni rispetto al 2017 e sfiorando il bronzo raggiunto nel 2014.

Ma cosa c’è dietro questo dato così lusinghiero? L’indice calcola l’efficienza del SSN (cioè la capacità di produrre un risultato al minimo costo) come un rapporto tra l’aspettativa di vita e la spesa sanitaria pro capite. Già questa definizione mostra tutti i limiti di un simile punteggio: la durata della vita di una popolazione (la cui scelta come unico indicatore dello stato di salute generale è di per sé opinabile) è determinata da tanti fattori oltre al buon funzionamento del sistema sanitario, il quale a sua volta dipende non solo dalla spesa ma anche da altre variabili.

Questo è ancora più vero nel caso del’Italia, dove il rapporto presenta un numeratore particolarmente alto (una delle aspettative di vita più elevate al mondo) e un denominatore relativamente basso (spesa sanitaria individuale inferiore del 10% alla media UE). I continui tagli al Fondo Sanitario Nazionale degli ultimi anni, legati alla cosiddetta politica di austerity, non hanno intaccato in modo significativo la longevità degli italiani – che è dovuta principalmente a fattori ambientali (benessere economico, dieta mediterranea, clima) e genetici – ma hanno ovviamente abbassato la spesa sanitaria pro capite. In pratica, l’indice di efficiency è salito per motivi puramente matematici: se diminuisce il denominatore e il numeratore resta invariato, il risultato della divisione aumenta. Ma aumenta anche la salute della popolazione?

Un quadro più completo e veritiero della prestazione italiana nel confronto con le altre nazioni è fornito dal rapporto dell’Osservatorio GIMBE “Il Servizio Sanitario Nazionale nelle classifiche internazionali“.

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