Di recente il New England Journal of Medicine ha pubblicato questa lettera in cui uno studente di medicina di Harvard racconta la sua esperienza personale con la depressione maggiore durante il corso di studi:
«In retrospettiva, si è trattato non tanto di una mancata diagnosi quanto di rinnegare il libro di testo: pensavo che ciò che stavo provando fosse normale per uno studente di medicina — o no?»
L’autore confessa di aver nascosto a lungo la sua condizione, prima a sé stesso e poi agli altri, per timore dello stigma sociale che ne deriva. Dalla propria storia individuale, l’autore trae delle considerazioni più generali relativamente alla professione medica.
«Non sono il solo a tacere. Ogni anno, più del 25% degli studenti di medicina sperimenta la depressione. […] Nel settore medico, il silenzio e lo stigma sono spesso mantenuti per timore delle ripercussioni che si avrebbero sulla carriera ad ammettere la propria malattia.»
Lo riteniamo un contributo interessante che apre uno squarcio su una realtà poco indagata e offre spunti di riflessione, sia per il settore universitario e sanitario, sia per l’opinione pubblica in generale.
Rose, Michael; «SIGECAPS, SSRIs, and Silence — Life as a Depressed Med Student»; N Engl J Med 2018; 378:1081-1083; DOI: 10.1056/NEJMp1716893 (gratuito)
Con questo post inauguriamo la rubrica Attualità del blog. In questo spazio proporremo notizie, editoriali, report e interventi istituzionali sui temi dell’organizzazione dei sistemi sanitari (sostenibilità, qualità, innovazione), con un occhio al panorama internazionale e l’altro al contesto italiano.
Grillo: «Aboliremo il numero chiuso a Medicina»
Apriamo con un recente annuncio del Ministro della Salute Giulia Grillo (in foto), che il 23 settembre ha dichiarato l’intenzione di abolire il numero chiuso per l’accesso al CdL di Medicina come misura di contrasto al deficit di medici nel SSN (sia ospedalieri che MMG), già in corso da anni e destinato a diventare drammatico entro il prossimo decennio. In realtà, poiché si parla di un corso universitario, l’argomento sarebbe di pertinenza del Ministero per l’Istruzione: il titolare Bussetti ha comunque supportato l’iniziativa della collega, che peraltro figura anche nel contratto del Governo del Cambiamento.
Nel suo post sul blog del Movimento 5 Stelle il ministro descrive più in dettaglio la riforma, che sarebbe ispirata al modello francese: in sintesi, verrebbe rimosso il test d’ingresso ma la selezione degli studenti verrebbe di fatto solo rinviata agli anni successivi, in particolare nel passaggio dal primo al secondo anno, attraverso esami più rigorosi.
Come già altre volte in cui si è affacciata questa proposta, alle parole del ministro sono seguite reazioni negative (Anaao Assomed) o più possibiliste (FNOMCEO); tutti però paiono concordi sul fatto che la priorità dovrebbe essere data all’aumento di borse di specializzazione e corso di MG, a un rinnovamento della formazione pre- e post-laurea, allo sblocco delle assunzioni e alla revisione delle condizioni contrattuali per i medici. Peraltro, alcuni di questi propositi sono già stati fatti propri dalla stessa Grillo.
Bloomberg: SSN italiano al 4° posto nel mondo per efficienza. Cosa significa davvero?
Il 19 settembre l’agenzia statunitense Bloomberg LP ha pubblicato la sua classifica annuale dei sistemi sanitari più efficienti al mondo. L’Italia figura al quarto posto, salendo di 2 posizioni rispetto al 2017 e sfiorando il bronzo raggiunto nel 2014.
Ma cosa c’è dietro questo dato così lusinghiero? L’indice calcola l’efficienza del SSN (cioè la capacità di produrre un risultato al minimo costo) come un rapporto tra l’aspettativa di vita e la spesa sanitaria pro capite. Già questa definizione mostra tutti i limiti di un simile punteggio: la durata della vita di una popolazione (la cui scelta come unico indicatore dello stato di salute generale è di per sé opinabile) è determinata da tanti fattori oltre al buon funzionamento del sistema sanitario, il quale a sua volta dipende non solo dalla spesa ma anche da altre variabili.
Questo è ancora più vero nel caso del’Italia, dove il rapporto presenta un numeratore particolarmente alto (una delle aspettative di vita più elevate al mondo) e un denominatore relativamente basso (spesa sanitaria individuale inferiore del 10% alla media UE). I continui tagli al Fondo Sanitario Nazionale degli ultimi anni, legati alla cosiddetta politica di austerity, non hanno intaccato in modo significativo la longevità degli italiani – che è dovuta principalmente a fattori ambientali (benessere economico, dieta mediterranea, clima) e genetici – ma hanno ovviamente abbassato la spesa sanitaria pro capite. In pratica, l’indice di efficiency è salito per motivi puramente matematici: se diminuisce il denominatore e il numeratore resta invariato, il risultato della divisione aumenta. Ma aumenta anche la salute della popolazione?
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